C’È UN CALCIO DI PLASTICA E C’È RINO GATTUSO
Il calcio italiano ha riacceso i motori nel silenzio di stadi vuoti, offrendo anche in campo a dire il vero uno spettacolo desolante.
La finale di Coppa Italia di situazioni tristi ne ha offerte parecchie a cominciare dall’inno nazionale stuprato, a quel minuto di silenzio sempre più di facciata e, ciliegina sulla torta, alla magia di mamma RAI che ha regalato a tutti i suoi abbonati un fantastico pubblico di plastica di ultima generazione. Chiedersi chi sia stato il genio che ha partorito questa idea e chi l’ha avallata credo venga naturale. In un calcio privato del suo elemento vitale, cioè il pubblico, metterne uno finto e animato ha superato finanche l’idea che, qualche anno fa, ebbe il presidente della Triestina per coprire il vuoto della tribuna del Nereo Rocco.
La partita ha ricalcano un copione molto più simile ai film russi del novecento e non poteva essere altrimenti. Più che un gol siamo stati alla ricerca di un segno che ci desse un minimo di speranza affinché il calcio possa ancora essere quel contenitore di emozioni con 22 uomini in mutande che corrono e sudano e migliaia di appassionati che urlano ed imprecano.
Quella speranza ce l’ha data Rino Gattuso e, badate bene, non perché il Napoli ha vinto la Coppa, ma perché lui riesce a vedere e trasmettere luce e cuore in mezzo ad una marea di plastica.
“La vita mi ha dato più di quello che ho fatto io, il calcio mi ha fatto uomo, io ho dato molto meno. La scomparsa di mia sorella è stata durissima, non la digerisci mai. Chi fa questo lavoro deve avere rispetto: perciò tante volte mi arrabbio, io l’ho fatto per tantissimi anni, dai miei giocatori voglio senso di appartenenza, e appunto rispetto. Si deve lavorare con serietà, perché poi c’è sempre un Dio del calcio se fai le cose bene”
Non si parla di schemi, di possesso palla, di soldi, ma si parla con il linguaggio della gente, di quelli che credono ancora al valore di una maglia, al rispetto. Rino ci parla con un linguaggio semplice di chi proviene dalla strada intesa come luogo che ti forma e ti mette alla prova. Se il calcio ha ancora un po’ di umanità lo deve a gente come lui. E il segno più grande è rappresentato dai tanti juventini gli rendono omaggio pur nella sconfitta.
Ecco il calcio che vogliamo, quello della gente, ma non detto per slogan, ma dimostrato da un uomo umile che non ha mai perso umiltà e dignità.